Perplessità in merito alla risoluzione delle dispute presso le “New Belt and Road Courts” Cinesi
A cura dell’Italian Desk di Dezan Shira & Associates
La Cina ha annunciato che verranno istituiti appositi tribunali Belt and Road (Belt and Road Courts) per gestire le controversie derivanti dai progetti realizzati nell’ambito dell’iniziativa Belt and Road (BRI), a cui molti Paesi hanno aderito. I tribunali, che avranno sede a Pechino, Xi’an e Shenzhen, sono stati istituiti sotto l’autorità della Suprema Corte del Popolo cinese.
Il tribunale di Xi’an gestirà le dispute commerciali in merito alla Silk Road Economic Belt, che collega la Cina, l’Asia centrale, il Medio Oriente e l’Europa. Il tribunale di Shenzhen gestirà le decisioni in materia commerciale per la Maritime Silk Road, che collega la Cina, il Sud-est asiatico, l’Africa e l’Europa. I media affermano che Pechino cercherà di promuovere i tribunali per risolvere le controversie che emergono nel BRI. Gli osservatori hanno notato che i tribunali presentano somiglianze con l’International Commercial Court di Singapore e con le International Finance Centre Courts di Dubai.
Non è del tutto chiaro quale sia il principio di autorità sulla base della quale i cinesi abbiano rivendicato la giurisdizione sulle controversie BRI. Per gestire tali dispute vi sono infatti procedure predefinite, che spaziano dai vigenti trattati bilaterali in materia di investimenti (Dezan Shira & Associates mantiene una documentazione di questi, disponibile qui) agli accordi multilaterali, come quelli esistenti tra i Paesi dell’ASEAN e la Cina, tra i quali l’“Agreement on Dispute Settlement Mechanism of the Framework Agreement on Comprehensive Economic Cooperation” del 2012.
La maggior parte dei trattati bilaterali e il trattato dell’ASEAN prevedono processi analoghi di risoluzione dei conflitti: consultazione, seguita da mediazione, seguita a sua volta da arbitrato a cura di un tribunale arbitrale ad hoc, senza che vi sia alcuna sede prefissata o alcuna scelta di legge, sia procedurale che sostanziale.
La mossa di istituire tribunali BRI, da parte di Pechino, pare che cerchi di modificare quella posizione e di spostare la giurisdizione a riguardo specificamente verso la Cina. Il Memorandum d’Intesa (Memorandum of Understanding, MoU), che la Cina ha firmato con oltre 70 nazioni per quanto riguarda la cooperazione sui progetti BRI, non sembra comunque suggerire procedure differenti dalla solita terminologia che si riferisce alle “consultazioni amichevoli”, sebbene possano differire di caso in caso, per affrontare le controversie,. La questione relativa all’istituzione da parte della Cina dei tribunali BRI ruota quindi intorno all’interrogativo di come questa procedura sia stata concordata, tra la Cina e le nazioni BRI, con cui ha firmato gli accordi sovra citati.
In precedenza l’arbitrato e’ gia’ stato contemplato in precedenti accordi. . Tra queste, un accordo raggiunto a settembre dello scorso anno tra il Singapore International Mediation Centre e il China Chamber of International Commerce Mediation Centre (CCOIC), che stipulava un MoU per risolvere le controversie transfrontaliere BRI, mentre il dipartimento di giustizia di Hong Kong ha anche sviluppato eBRAM.hk, uno strumento di risoluzione delle dispute online relative ai principali progetti di infrastrutture BRI.
Considerate queste piattaforme esistenti, si potrebbe sostenere che il governo cinese stia cercando di costringere le altre parti ad accettare la mediazione e l’arbitrato cinesi tramite la sua proposta di far sì che questi tre tribunali regolino tutte le dispute BRI.
L’ente giuridico principale cinese è stato sottoposto a un processo di “internazionalizzazione” del suo sistema giudiziario interno e i tre nuovi tribunali dovrebbero essere realizzati su modello delle corti istituite a Singapore o a Dubai.
Nonostante l’adozioe di queste misure da parte della Cina, la scelta della sede arbitrale e della legge da seguire, sia procedurale che sostanziale, dovrebbe essere lasciata alla negoziazione tra le parti interessate. Del resto, affidare la risoluzione delle dispute a parti terze, attraverso un sistema di regole predefinite e’ sicuramente preferibile rispetto al principio di giurisdizione connesso alla “vicinanza” di una delle parti secondo la fonte contrattuale.
Resta da vedere quanto successo avrà la Cina nel portare le controversie in merito alla Belt & Road ai tribunali in Cina. Nel frattempo, i consulenti legali necessiterebbero di consulenza allo scopo di conoscere esattamente cosa sia stato concordato al momento della firma del MoU con la Cina per la cooperazione Belt & Road.
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